Open Genova ha posto 5 domande ai candidati sindaco (elezioni amministrative 2022) sui temi a noi cari: Transizione Digitale, Lotta al divario digitale culturale, Smart City e Tecnologie Digitali.

Di seguito riproponiamo le domande con le risposte di Antonella Marras.

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Quale sarà la prima azione di transizione digitale della Pubblica Amministrazione che, come candidato sindaco, farà quando sarà eletto?

La digitalizzazione della Pubblica Amministrazione, statale o locale che sia, è ormai sentita come necessaria dalla gran parte della stessa cittadinanza. Pur in un Paese non leader nella smaterializzazione burocratica, quale il nostro, l’avversione verso la gestione cartacea ed in presenza della Amministrazione pubblica è nettamente maggioritaria, soprattutto dopo l’attuale pandemia. Anche in questo caso, crediamo che dematerializzazione della macchina comunale e massima attenzione della tutela dei diritti dei cittadini e dei controlli delle regole e delle norme, non debbano essere visti come garanzie contrapposte. La visione smart del Comune non può pertanto che partire dalla compenetrazione di queste due esigenze. Detto questo, riteniamo che il problema maggiore legato all’utilizzo consapevole delle ICT risieda nell’accresciuto digital divide sociale: non più solo mancato accesso alle tecnologie in quanto tali ma (e soprattutto) mancata comprensione delle logiche, delle risorse e dei rischi che sottendono a queste tecnologie, con marcata diversificazione in base alla classe sociale di appartenenza. Di conseguenza, il primo intervento programmabile deve proprio essere indirizzato verso il contenimento e superamento di tale gap sociale.

Rispetto al Piano Triennale per l’Informatica del Comune di Genova 2020-2022 (pagg. 6-9), quali sono secondo lei i punti migliorabili e cosa dovrà essere fatto durante il suo mandato?

E’ il classico compitino, per carità, fatto bene, fotocopia di decine di altri e confacente ad un’idea di società, di comunità, che non ci basta, che non ci appartiene. In quell’ottica, purtroppo dominante, si riscontrano solo ICT quali veicolo di efficientismo (meglio: soluzionismo, per dirla alla Morozov) e profitto. Manca del tutto l’etica hacker, unica che possa essere posta alla base delle ICT viste come strumento di sviluppo delle persone, della democrazia, per mezzo delle sue applicazioni/soluzioni free, share. In quelle pagine manca il creative common.

Nell’ambito della lotta al divario digitale, a Genova esistono diverse associazioni del terzo settore che si occupano di alfabetizzazione digitale. Qual è la sua posizione relativamente al coinvolgimento del terzo settore in questa attività? Ritiene che questo ruolo debba/possa essere svolto direttamente dalle strutture comunali/municipali?

Come per qualsiasi altro settore dedito ai servizi, riteniamo che l’attore principale in materia di alfabetizzazione (culturale) digitale, debba essere la Pubblica Amministrazione. Questo non significa che il Terzo Settore non possa avere un ruolo importante di affiancamento in tale materia, andando a coprire eventuali deficit d’organico e al contempo stimolando nuove progettazioni.

Un recente studio commissionato da Intel rileva che la metà degli intervistati non ha idea di cosa sia una smart city/città intelligente (fonte: sito web Corriere.it). Quali azioni pratiche intende fare per aumentare la consapevolezza e la conoscenza di questo argomento nei cittadini genovesi?

Il concetto di smart city è profondamente cambiato nel corso del tempo: dal concetto di municipalità dedita alla promozione culturale, sociale ed economica delle capacità e professionalità dei propri cittadini, alla totale delega a gruppi economici ben strutturati (multinazionali o imprese medio grosse) dell’utilizzo delle ICT, a fini di gestione urbana. Fermo restando che anche questo secondo aspetto possa essere foriero di soluzioni ambientalmente, socialmente ed economicamente apprezzabili, riteniamo che sia fondamentale tornare ad un concetto di Comune quale incubatore (e maieuta) di innovazione. Stimolare e favorire la partecipazione dei molti giovani cervelli locali (e non) è anche modo per diventare polo attrattivo (e non repulsivo, come in oggi) per le giovani generazioni. Il Comune che disegniamo deve essere pertanto coinvolto massivamente nell’opera di informazione, formazione e supporto degli operatori ICT, in necessaria sinergia con le professionalità della Pubblica Amministrazione, dell’ Università, ecc., dedite all’urbanistica, alla trasportistica, alla sociologia ed alla cultura, cittadine.

Come futuro sindaco, come vede il rapporto tra genovesitecnologie digitali e pubblica amministrazione locale tra 5 anni, alla fine del suo mandato? Cosa sarà cambiato?

Tra 5 anni, mi immagino una città sempre più a misura d’uomo e soprattutto di giovane e di bambino.

Nel solco tracciato dai contenuti indicati nella risposta precedente, i cinque anni del mandato li pensiamo costellati di tavoli di confronto con gli stakeholder, non solo economici, di ricerca di spazi da adibire ad incubatori di startup, di molti semplici luoghi di socializzazione e confronto per appassionati ITC e di sperimentazione di soluzioni innovative. Il panorama mondiale è fortunatamente pieno di percorsi simili, dai quali attingere le opportune best practices.

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