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La crisi ci obbliga a ripensare al rapporto tra risorse, vincoli e opportunità. Opportunità che nascono proprio dal poter sfruttare risorse limitate, sfruttando al meglio sinergie e connessioni tra risorse diverse e apparentemente lontane, siano esse persone o contenuti o settori.

Per questo motivo è sempre più importante l’intelligenza collettiva. Ma non si potrà raggiungere grandi risultati se non si indirizza nel modo giusto questa collettività, alfabetizzandola, sensibilizzandola su argomenti nuovi, su nuovi modelli di business e di vita. Pena il business sarà solo per i pochi eletti già digitalmente alfabetizzati.

Oggi, sempre di più si cerca di portare l’intelligenza collettiva per fare business. Ma sarà limitato il business se la massa di questa intelligenza non è critica.

Bisogna ‘volgarizzare’ cio’ che è nuovo, serve un processo di democratizzazione ed avvicinamento verso temi ancora non noti dai molti. Un processo che non vedo in pratica.

Tutti i guru con un sacco di follower che parlano della necessità di fare rete, di creare partecipazione, attraverso il dialogo, le story tell. Tutti questi soggetti che hanno già una massa critica consolidata, hanno una grande opportunità: quella di parlare alla gente. Una volta mi è piaciuto ascoltare l’aneddoto dei pesci intrappolati nella rete di Nemo, che riescono a liberarsi solo quando decidono tutti insieme di nuotare verso la stessa direzione. Parole sante!

Certi sono più giovani di me, sono smart, parlano bene, ma poi quando si tratta di fare? A me è capitato di scrivere in modo propositivo ad alcuni di loro per fare appunto quello è diventata la parola d’ordine: cooperare per alfabetizzare. Che per me significa mettersi ai livelli di chi non è ‘digitalmente alfabetizzato’. Non a caso ho scritto recente un libro sul crowdfunding con l’obiettivo di andarlo a spiegare ai molti che non conoscono l’argomento e non certo ai pochi che già lo masticano. Per quelli avrei scritto un libro diverso. Del resto, fintanto che le persone non si avvicinano al tema sarà utopico pensare di far decollare nuove forme di partecipazione ed iniziative attraverso questo strumento.

Saranno forse stati troppo impegnati ad evangelizzare da non trovar tempo neppure di rispondere? O forse conviene che siano sempre i soliti a parlare di certi argomenti?

Sarà che io sono dell’idea che due ‘giardini’ di valore diverso insieme valgono di più della loro somma. Molti in Italia continuano a pensare che possano valere meno o peggio che uno possa cannibalizzare l’altro.

Mi fa sorridere vedere che la conferenza inaugurale Openinnovation 2.0 del 12 giugno scorso lanciata dalla Commissione Europea era certo ben lonatana dall’essere aperta. Una conferenza per pochi, “gli high-level decision makers, leading innovation experts and practitioners from across the globe”. Che suona fico, ma che in pratica spero non si traduca nelle solite caste che di open han ben poco.

L’altro giorno una persona mi ha scritto suggerendomi di includere in un workshop organizzato sul crowdfuning questioni quali strategie di marketing, SEO, e altri aspetti tecnici. Gli ho risposto: ma il target dell’incontro è spiegare a chi ancora non conosce l’argomento, l’obiettivo è sensibilizzare, portare conoscenza. Per me è un po’ come portare su una pista blu una persona che non ha mai indossato un paio di sci, prima di condurlo su una pista nera… Se dovessimo portare tutti quelli che non hanno mia visto la neve su una pista nera, non si avvicinerebbe a quello sport nessuno di loro!

Certe volte ho la sensazione che, nella pratica, in Italia sfugga questo passaggio. E’ un po come se un grande pilota di Formula 1 raccontasse in giro che c’è bisogno di insegnare alle persone a guidare mai poi di fatto ignorasse tutti i neo patentati con utilitaria, perchè lui il business lo fa con quelli che già guidano una bella macchina. Peccato che magari un neo patentato potrebbe imparare ed in futuro anche lui sfrecciare in una bella supercar. Pensiamo allora al vicino della porta accanto, che magari non ha uno smart phone e non sa cosa sia il crowdfunding, ma chi lo ha detto non possa avere in testa una brillante idea che magari una banca gli ha bocciato ma che potrebbe essere validata e realizzata attraverso la crowd? E vogliamo perderla questa persona? Vogliamo rivolgerci poi in pratica solo alla piccola fetta di popolazione fatta di creativi, figli della rete e sognatori della Silicon Valley? Spero proprio di no.

E allora mi rivolgo a tutti questi ‘grandi piloti’, che possono essere incubatori, spazi di co-working, o soggetti con esperienza pluridecennale che girano l’Italia a raccontare story tell, o amministratori di pagine facebook che accumulano centinaia di like per ogni cosa che scrivono. Bene, cari amici, c’è da collaborare seriamente, non si puo’ lasciare nessuno indietro!

Un dato emerge tra tutti: il crowdfunding puo’ rappresentare la spinta iniziale per crescere, per chiunque; quella spinta che i canali tradizionali non sanno più offrire a nessuno, non solo alle imprese. E allora deve diventare una causa da perseguire, l’obiettivo ultimo e più elevato, quello di condividere questo fenomeno con chiunque.
Il crowdfuning non è solo equity, è anche imprenditorialità sociale, è anche progettualità civica. I soggetti da coprire sono tutte le sfacettature del privato in qualsiasi settore e la pubblica amministrazione.

Non si puo’ innovare senza aggregare dicevo all’inizio. E per lo stesso motivo non si potrà beneficiare al massimo dalle risorse offerte da crowdsourcing e crowdfunding se chi conosce l’argomento ‘snobba’ chi è più indietro.

Oggi osservo che tendenzialmente chi conosce la materia crowdfunding commette tre errori principalmente:

  1. tende a focalizzare attenzione su start up e creare conoscenza attorno a chi ha già le basi. Ma crowdfunding è e deve essere uno strumento da trasmettere a chiunque. Crowdfuning non è solo equity, è anche imprenditorialità sociale, è anche progettualità civica. I soggetti da coprire sono tutte le sfacettature del privato e di qualsiasi settore e anche il pubblico
  2. manca supporto a chi non sa neppure cos’è il crowdfunding ma magari ha un’idea nel casetto
  3. mancano servizi di valore aggiunto, manca supporto per la realizzazione sostenibile del progetto. Servono servizi di  due diligence, di crowdvalidation, di crowdintelligence, ovvero servizi di valore aggiunto che una piattaforma sappia offrire facendo ponte con il crowdsourcing.

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